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EMERGENZA Vol. I, ovvero “L’ARTE DI EMERGERE NELLA MUSICA POP ITALIANA”

EMERGENZA Vol. I, ovvero “L’ARTE DI EMERGERE NELLA MUSICA POP ITALIANA”

 

Italia 2016, quasi 2017. C’è un esercito di musicisti, cantautori, parolieri, sognatori, gente che canta e suona canzoni proprie, che da qualche anno si trova in trincea, ogni giorno, per resistere tra il desiderio profondo di creare arte per sé stessi e per l’arte, e il compromesso di dover pensare a:
– successo e soldi
– diritti d’autore;
– dove suonare;
– perché suonare;
– mangiare.

Le dinamiche che comandano sono per lo più:
– cercare una buona idea;
– reinventarsi;
– fare dozzine di serate random;
– cachet;
– qualche festival importante (probabilmente a pagamento) per dare visibilità al progetto;
– la durata delle canzoni, “non più di 3 minuti, come Zucchero”;
– fare una canzone l’anno, preferibilmente inedita, altrimenti “si brucia”;
– puntare tutto su quella;
– chiaroveggenza su cosa andrà “di moda” quest’anno;
– Sanremo (lontanissimo)
– Xfactor, Amici, The Voice, ecc (anni luce)

Ascoltare i consigli sulla propria musica, ovvero ciò che segue a “Mi piace quel che fai ma…”:
– Deve assomigliare un po’ a…
– Assomiglia troppo a…
– Sembra un mix tra gli Abba, Loredana Berté e Lino Banfi
– Devi dire qualcosa di accattivante!
– Devi dire qualcosa di condivisibile!
– Però devi essere originale!
– Non devi essere troppo innovativo altrimenti non ti capiscono…
– Che bello quando scrivi qualcosa di poetico!
– Però sei troppo poetico, non ti capiranno.
– Non devi dire qualcosa di scorretto!
– Però quanto mi piace Levante quando dice “che vita di merda!”
– Devi dire qualcosa che piaccia alle massaie.
– Però non cadere nel pop…
– Tu non sei pop rock folk indie reggae ska: sei una contaminazione.
– E poi non suonare tutto, ci vuole un po’ di elettronica. Ma la senti la radio?
– Pensa, c’è anche quello famoso, lì, che non sa neanche suonare uno strumento.
– Il ritornello deve arrivare a un minuto esatto, anzi a 45′ secondi… o forse a 30”
– Senti, parti direttamente col ritornello.
– Deve arrivare dritto come una spada.
– Lo devono cantare tutti!
– Dev’essere un tormentone…
– Serve soltanto un pezzo per sfondare!
– Poi tu sei bravo, hai già un repertorio e una gavetta…
– Devi suonare in giro per l’Italia (conosci ogni stazione, autogrill e benzinaio dello stivale)
– Al fonico che ti registra devi dare un “riferimento di ascolto”
– Senti senti! oggi in radio suona questo!
– Ma tu che genere fai? Ma scrivi prima il testo o la musica?
– Perché scrivi?

Nessuno ti dice mai “fai cagare. Lascia perdere. Il mondo è diviso tra palco e pubblico. Tu devi stare nel pubblico”.
No. Oggi -quasi- tutti hanno il dovere di salire su un palco e ad avere i famosi 15 minuti di fama.
Prima o poi non rimarrà più nessuno ad applaudire: saremo tutti sul palco!

Allora ripenso, ma è sempre stato così? Come ci siamo arrivati?
Parto da questo pensiero: l’ultima canzone che ricordo del Festival di Sanremo, quella che dovrebbe essere la principale galleria d’arte della musica leggera italiana… è del 96. Anzi del ’97, proprio degli “sconosciuti” Jalisse. “Fiumi di parole” mi trasporta a pensare ai fiumi di nomi che negli anni ho sentito e che ho dimenticato.
Fatevi un giro su Wikipedia: gli elenchi degli artisti giovani partecipanti a Sanremo (e di alcuni big) sembrano una lunga serie di nomi inesistenti, una Spoon River dei sogni musicali infranti degli ultimi 20 anni. Pochissimi, quelli che si sono confermati col tempo.
Le canzoni, un cimitero di melodie orecchiabili con arrangiamenti spesso rubati ad MTV.
Sfido chi voglia ad ascoltare le nuove proposte di quest’anno e non trovare i suoni dei vari Coldplay o Jain e via dicendo, così come richiami alle melodie vecchie che ritornano puntualmente, cambiando una o due note per non cadere nel palese plagio.
Arriviamo sempre dopo? Eppure gli italiani hanno inventato quasi tutto!

Chi fa cose davvero nuove? Fare cose originali paga?
Mi guardo indietro e forse l’ultimo cantautore big italiano è Tiziano Ferro. Gli altri sono “indie”.
Se “Jovanotti” ha 50 anni e “Vecchioni” ne ha 73, l’Italia non è un paese per giovani.
I giovani sempre ggiòvani resteranno, anche se brizzolati.
I big sono sempre quelli. I vip pure. La moda pure. La musica pure.
L’unica cosa che è cambiata davvero è la tecnologia, che ci sta cambiando di brutto:
abbiamo sempre il telefono in mano.

Quindi arriva qualcuno che puntualmente ti dice: “devi approfittare della tecnologia!”
E ti ritrovi che devi:
– fare il videoclip (e via di nuovo con l’elenco: accattivante, originale, condivisibile, …);
– pubblicare foto, perché “alla gente piace la tua vita personale”
– lanciarsi nel crowdfunding;
– seguire i social;
– il sito dev’essere figo;
– forse però è troppo figo, dev’essere più chiaro e diretto;
– ti conviene comprare i mi piace, è obsoleto auto-acquistarsi su iTunes;
– è obsoleto pure quello, compriamo i mi piace che metti, così la gente si sente stimata e ricambia;
– anzi, sicuramente c’è qualche novità, comprati la guida aggiornata Instagram;
– aprire il canale Spotify;
– pagare per la sponsorizzata su Facebook;
– devi postare qualcosa ogni giorno, tieni attiva la pagina!
– devi farti seguire da più gente possibile…
– fai dei live acustici a casa e li carichi su Youtube (croce e delizia);
– ci sono le web radio, loro ti passeranno sicuramente (ce ne sono migliaia);
– hai visto quel social nuovo? Spacca!

E poi, solo poi, il suono.
– la musica deve seguire come va il mondo: si deve sentire bene nei cellulari!
– il mastering si deve adattare, oggi i ragazzi ascoltano così la musica.
– però fa figo se stampi dei vinili…
– mi sembra che non importi l’impianto hi-fi, ma importi il wi-fi.

E allora mi rilasso e suono per me, o magari con gli amici. Ma mi accorgo che:
– non suoniamo più le canzoni in compagnia;
– se suoniamo, suoniamo le stesse dagli anni ’70;
– in spiaggia cantiamo ancora Battisti;
– fortuna Mannarino, rara eccezione, che s’è mbriacato, anche se mi hanno detto che è antipatico;
– forse è antipatico solo perché non è andato a Xfactor, o ad Amici;
– poi ci lamentiamo se a Sanremo vanno quelli di Xfactor o di Amici;
– ma quelli li conosciamo, hanno questo, questo e quest’altro problema; sono sensibili, coraggiosi, tormentati, hanno avuto un flirt con quest’altro partecipante, li segue questo artista che li stima, quindi è bravo;
– oggi per sfondare si deve per forza essere tristi: sii triste e sfonderai;
– guardiamo Sanremo come se fosse l’esame finale di un percorso terapeutico di cura iniziato in una fila per strada, sperando di non essere segati alle audizioni, e poi li critichiamo anche se ci piacciono, dicendo che sicuramente sono dei raccomandati;
– chissà quale casa discografica hanno dietro…
– si sa, in Italia devi avere delle spinte!
– ma cos’hanno in testa i giudici? Eravate più bravi voi!
– però è bravo dai, lui avrà successo. Mi sto canticchiando già il ritornello…
– presto avremo un altro talent, un altro Grande Fratello della musica, a drogarci di nuove proposte, che elimineranno come per magia quelle dell’anno prima;
– arriverà l’anno prossimo e sentiremo: hai visto i nuovi partecipanti di quest’anno? C’è quella ragazza che canta da Dio!

Ma canta le canzoni di chi?
Semplice: le canzoni di una stretta cerchia di autori e compositori triti, ritriti e ricchissimi.
Voglio essere ottimista, però: so per esperienza che c’è ancora molta gente che scrive, alla ricerca del proprio mondo, nella convinzione di aver avuto qualche buona idea e sperando che un giorno qualcuno possa ascoltare le sue note e le sue parole.
Se il sottobosco un giorno diventerà foresta, allora spero che abbia la meglio la selezione naturale e che la musica che oggi è nell’ombra possa vedere il sole e arrivi alle orecchie di tutti.

Stringo, anche se ne avrei molte altre da dire.
E vi chiedo: che fine ha fatto la musica, che fine ha fatto la poesia, che fine ha fatto l’arte, che
fine ha fatto il messaggio? Perché ascoltiamo le canzoni?
Che fine ha fatto dire, e dare, qualcosa di vero, anche se fa schifo?
Preferisco il “Vaffanculo” di Masini. E anche un semplice “Grazie. Prego.” non sarebbe male.
Andiamo a trovare la musica vera, la sincerità, le inquietudini del mondo.

Confucio, che amava la musica, una volta disse a un discepolo:
“Vuoi sapere se un Paese è ben governato? Ascolta la sua musica”.

Commenti
  • Beto
    25/10/2016

    Excelente. Traducilo al español y replicamos, ya que la situaciòn se asemeja muuuuuucho a la de casi todos los paises.

  • Nonnomatteo
    25/10/2016

    direi che manca solo il tormentone dei locali che non ti fanno suonare 🙂

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