La più sottile brezza
Dimitrios, il greco. L’ho conosciuto una sera di questa estate, tra i vicoli di Skiathos. Un signore calvo dagli occhi accesi e la pancia grande, occhiali anni ’70 e un crocifisso dorato molto appariscente al collo, un lavoro umile da acchiappaclienti in un ristorante del centro e tante cose da raccontare. Quando viaggio, il mio essere un po’ argentino e un po’ italiano spesso torna utile, o è divertente, perché di solito sono due popoli che destano simpatia. Per il calcio, per i personaggi, per la bellezza, per il cibo, per la musica, per l’idioma. Così spesso mi ritrovo a parlare in un miscuglio di lingue e di modi di dire per portare il sorriso nell’altro, così come viceversa colui o colei con cui parlo fa con me. Così, all’ennesimo bicchiere di grappa, l’ha lanciato a terra senza guardare dove arrivasse e mi ha detto: ora ballerò come facevo in Vietnam, un ballo greco, per uomini. Uomini ballano da soli e si fanno compagnia. Tutti volevano imparare. Wow, ho pensato. E’ matto davvero. Un matto bello. Quello che non sospettavo è che, visto la sua maglietta del Che, da eurocomunista reduce di guerra, qualche medaglia al valore, una moglie dal vestito leopardato, figli sparsi per il mondo, un passato difficile di emigrazione, di guerra, droghe, grandi dettagli ai quali ancora stento a credere, che ometterò, la gratitudine di essere vivo e un futuro fatto di presente per vivere ogni momento a pieno, mi trovassi in un posto super turistico e allo stesso tempo in uno dei momenti più bizzarri della mia vita, quando lui, tutto sudato, dopo aver danzato sirtaki in una taverna applaudito dai suoi amici, vecchi ospiti più ubriachi di lui, ha scritto in un foglio delle comande, in greco e con una calligrafia traballante, qualcosa che se non ricordo male vuol dire “Skiathos è la più sottile brezza nella prigione di Katmandu”. Così si chiama il libro, scritto in collaborazione tra diverse università e centri di studi, che racconta della sua storia, della vita di Dimitrios.
A dir la verità non sono andato al museo cittadino a vedere se fosse vero che esisteva questo libro. Perché, tralasciando tutto il preambolo, ho pensato che sia uno dei titoli più belli mai sentiti. Mi ha in qualche modo sussurrato che in qualsiasi prigione ci troviamo, in qualsiasi fortezza inespugnabile siamo stati o ci siamo rinchiusi per scelta nostra o degli altri, da qualche parte entrerà sempre una piccola brezza che sa di casa, che ci accarezzerà piano piano, a ricordarci che, vada come vada, anche in capo al mondo, andrà sempre tutto bene.