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Raval pa’ aquí, Rambla pa’ allá

Raval pa’ aquí, Rambla pa’ allá

 

Camminare per il Raval è un po’ come andare al mercato per la prima volta in una città straniera di cui non conosci il nome né la lingua, a sei anni e da solo. Non sai dove sei, non capisci perché ci siano così tante persone, non puoi guardare troppo in giro sennò si vede che sei un turista, tutte le insegne luminose sembrano uguali, le strade che sembrano dritte sono diagonali e per andare da un punto A a un punto B passi per una ventina di punti X. Fai strade diverse, o così ti sembra. E’ tutto diverso e tutto uguale. Infatti, è tutto uguale. Potresti essere nel 70% delle città del mondo. Però non dei Mango, Zara, HM, ma dei sobborghi, quelli con le scritte in arabo o cinese. O forse le strade non sono le stesse, sei tu che non ci capisci niente. All’inizio giri, ti perdi, conosci, ti abitui, riconosci, respiri, osservi, conti, all’inizio, poi perdi il conto. Del multiculturalismo, ormai non più di moda, cominci a riconoscere le parti migliori e quelle peggiori. Osservi le facce. Riconosci l’ora non dal buio, o dalle luci di Natale già accese, ma dai volti che vanno in giro. Secondo questa personale teoria, al Raval sono sempre più o meno le due di notte. In questo continuo andirivieni ti ricordi che non sei in un sobborgo, sei nel pieno centro di Barcelona, Spagna, i turisti sono a qualche metro a spendere soldi veri nella Boqueria, e tu allora cerchi nell’aria parole in spagnolo. Poi cerchi la cultura del posto. Ci metti circa tre giorni a trovare uno spagnolo. I catalani invece, non esistono. Forse stanno tutti oltre Ronda San Pau, Sant Antoni, Parallel e la Rambla. Ma non credo: forse si nascondono nelle bandiere indipendentiste appese nei balconi, o a tutta velocità sotto gli skaters, e allora li schivi, continui a camminare, tutto profuma di Amsterdam, Istanbul, Pechino, Quito, Bangkok, le bici ti superano gentilmente, i cani sorridono e nessuno ti invita nei ristoranti, come fanno nei posti turistici. C’è libero arbitrio, puoi comprare tutto a qualsiasi ora, questa è la condizione. C’è chi lancia la chiave dalla finestra, chi tira la corda dal quarto piano per aprire, chi suona per strada, chi dorme negli Atm, trovi scuole, giardinetti, musei all’avanguardia, panni stesi, raccolta differenziata, università, un’altra rambla, dove nessuno si fa selfie col gatto di Botero perché si vedrebbero i barboni, il barista argentino ti ricorda che le tue tasche sono a rischio un po’ come a Buenos Aires, la vita scorre veloce, ti fa sentire in movimento, i giorni passano, come gli skaters, saltellano, a volte cadono, fanno rumore, si girano, piroettano, ti tengono sveglio, tornano, ti portano al mare, che sembra estate, che sembra inverno, che è una città grande, e piccola, e c’è tutto il mondo in ogni strada, in ogni sguardo, e c’è così tanto da imparare che la tua chitarra è soltanto un modo per respirare profondo e dire ecco, questo è il mio piccolo, personalissimo, centro del mondo.