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“Sono in ferie”

“Sono in ferie”

 

L’altro giorno ho sentito “una delle frasi più tristi del mondo? Dire di aver finito le ferie”. Aggiungo, ancora peggio è dire “sono in ferie”. Per due motivi: primo, perché di solito lo dico io, degli altri. Gli altri, sono in ferie. Secondo, considero le ferie un modo perfetto per tornarci. Come le diete sono il miglior modo per ingrassare. Le ferie: questa parola esiste solo in italiano. Gli altri idiomi di solito chiamano il non lavorare semplicemente “vacanze”. No, qui siamo in ferie: giornate di astensione dal lavoro, un diritto riconosciuto a un lavoratore dipendente. Se dipendi, dunque, hai le ferie. Un po’ come se sei un tossico e ti premiano con un’astensione dalle droghe. Due settimane d’aria e libertà ad agosto. Poi torni di nuovo qui. Senza fare i compiti delle vacanze. Che poi, a luglio il tempo è più bello, non ho mai capito perché si va in ferie ad agosto. E le ferie “maturate”? Cos’è un frutto? O “accumulate”, come fosse un’invisibile magazzino del tempo. Maturi o accumuli se lavori. Ma se lo fai più del dovuto, probabilmente non avrai più ferie, come sarebbe giusto. Anche perché, chi ti sostituisce? Tu dipendi da loro e loro -forse- dipendono da te. Il lavoro è la facciata di una gigantesca macchina di assuefazione. Il lavoro è l’oppio dei popoli, e dei padroni. Mi chiedo se quel cartello di San Benedetto del Tronto che dice “lavorare lavorare lavorare, preferisco il rumore del mare” l’abbia scritto un pescatore. Per esempio, io non preferisco la musica al lavoro. Se lavoro, ascolto e suono musica, così come per il pescatore il suono delle onde è parte integrante del suo lavoro. Il rumore del mare è il sottofondo del suo sudore, non un’alternativa. Bisogna ammettere che c’è confusione. Il caldo dà alla testa. Ai tempi dei romani, durante le “ferie” non si lavorava, per dedicarsi al culto di qualche divinità. Poi arrivò la chiesa, e visto che nei giorni di festa c’era il culto del Signore, e nelle ferie il culto dei Santi, allora ecco che durante i giorni feriali si cominciò a lavorare, mentre nei giorni festivi… cominciarono le ferie. C’era già confusione. Questione di cul-to. Paradossi cul-turali e linguistici italiani, così come il classico: “ma tu suoni nella vita, o lavori?”. Questa frase dovrebbe essere multata. Ma scusate, perché suonare non è un lavoro? Perché? L’Italia è una Repubblica fondata sulla musica. Uno stivale di Santi, Poeti e Navigatori -o pescatori- che vivono la musica, o quello che ne rimane. Cos’è cambiato? E perché? E gli immortali compositori italiani? Erano sempre in ferie?
Ne riparleremo, promesso. Intanto vi racconto questo, dal mio piccolo, a proposito di ferie.

L’estate, e specialmente il mese di agosto, per i musicisti con un calendario simile al mio è il periodo dell’anno in cui si suona di più: si va in giro per concerti, feste, festival, si conosce gente, si dorme poco. E’ molto divertente ma stancante, praticamente è come essere in vacanza ma al contrario, perché non puoi davvero fare come ti pare. Devi suonare. E suonare bene, perché probabilmente incrocerai occhi di passanti distratti e spesso di cattivo umore, ammucchiati in posti turistici e con poco parcheggio; soltanto alcuni di questi sguardi saranno di amici o di gente che è venuta per te. Avrai una scaletta tatuata addosso. Assaggerai molti piatti, prima di suonare (o dopo). Chiederai da bere durante i concerti. Se sarai intelligente, berrai acqua, meglio con sali. Oppure qualche cocktail alla moda, probabilmente mojito o moscow mule. O birra artigianale. Qualcuno applaudirà. Sarà anche bello. Ti sbrigherai a smontare la tua roba per non perdere il poco di serata che resta da vivere. Farai colazione a orari improbabilissimi. Forse ti farai il bagno di notte. Forse dormirai, tornando a casa, in macchina di qualcuno o nel furgone, o in piazzole di sosta, o in benzinai. Andrai al mare la mattina tardi, forse. O farai un breve giro in montagna. O in qualche giardino a leggere. O resterai a casa. Se sei una rockstar moderna farai sport nel poco tempo che resta. Pranzerai leggero, meglio. L’abbronzatura durerà poco perché, a ogni sudata notturna, la melanina si dileguerà. Il sole bacia i belli, ma abbronza i riposati. Continuerai a suonare, cambierai le corde vissute, comparirà o salterà qualche serata, che non si è fatta prima perché la gente in giro c’è ad agosto, quando viene giù il monsone. Arriverà settembre e non ci avrai capito niente, andrai al mare da solo mentre i bagnini laveranno le sdraie per rimetterle a posto, vedrai le giornate accorciarsi come il tuo calendario, e se sei stato grintoso, diligente e fortunato avrai da qualche settimana, in qualche miracoloso modo, programmato il tuo autunno-inverno.
E allora aspetterai che gli altri dicano “ho finito le ferie, se ne riparla l’anno prossimo” perché tu, forse forse, ci andrai ad ottobre, in ferie. O a settant’anni.

Credo che le ferie, come le feste, nascano dentro di noi.
Mi piace pensare di essere in vacanza -almeno un’oretta- tutti i giorni, tutto l’anno.
Tutto il resto, poi, è agosto.

Quando sono in ferie… gli altri.